
Gelato alla liquirizia scaldaferro: piccola storia della radice dolce
Mangiare liquirizia mi fa tornare bambino.
La mia generazione, quando da piccola andava in spiaggia , stazionava verso le 11 di mattina, ciondolante ed implorante, davanti al banco frigo dei gelati e si faceva prendere immancabilmente un gelato al limone, con lo stecco alla liquirizia; si deliziava poi a mangiucchiare per ore lo stecco legnoso , che i nonni chiamavano “dulcamara” dolceamara.
Più dolce che amaro questo vegetale.
Liquirizia, scientificamente , è chiamata “glycyrrhiza glabra”: riza significa radice e glycos significa dolce, in sostanza “radice dolce”.
Sarà per questo retaggio infantile che il gelato alla liquirizia ci riesce particolarmente bene.
I segreti sono sempre gli stessi. Partiamo dalla materia prima migliore: la radice di liquirizia calabrese. La lasciamo in infusione una notte nel latte e nella panna, così da aromatizzare maggiormente gli olii essenziali e poi mantechiamo il nostro gelato.
E’ particolarmente gradita in estate, in abbinamento al nostro gelato al fiordilatte, al caffè o al sorbetto limone e zenzero.
La liquirizia ha una storia millenaria e queste poche note magari vi faranno venir voglia di assaggiare il nostro gelato.
La liquirizia è una pianta molto importante nell’antico Egitto, in Assiria e in Cina, e si trova citata in tutti gli erbolari più antichi pe le sue virtù medicamentose.
Il filosofo storico greco Teofrasto del IV secolo a.C., la chiamava “radice scita”, dal momento che la popolazione nomade asiatica ne faceva largo uso per calmare la sete durante le lunghe peregrinazioni: se unita al latte di cavalla, poteva risultare addirittura miracolosa, permettendo ad un uomo di non bere per molti giorni.
Nelle corti britanniche del Medioevo, era in auge un romantico ritornello che i cavalieri dedicavano alle dame amate: ”L’amore è sogno, dolce come latte e liquirizia“.
Il potere dolcificante della radice ne permise l’uso come dolcificante della birra e del tabacco, incrementando enormemente il suo utilizzo e consumo.
Solo nel XV secolo è stata introdotta dai frati domenicani in Europa e ha trovato terreno fertile in Calabria (famosa la ditta Amarelli) e Sicilia, favorita dal terreno argilloso e dalla scarsa piovosità. I frati avevano ideato un procedimento di lavorazione che richiedeva una gran pazienza: lasciavano essiccare le radici per quattro anni, dopodiché ne recidevano la parte superiore, ed iniziavano allora ad estrarne il succo, che per le sue proprietà terapeutiche veniva chiamato semplicemente “Medicamentum“. Dal succo estraevano poi l’amaro e i confetti.
La liquirizia è entrata anche nella cosmesi quoitidiana della donna.
Le acconciature rinascimentali, impreziosite da ornamenti, dipinte dai pittori italiani come Botticelli, Mantegna, Tintoretto, Michelangelo, Raffaello e Leonardo si servivano sicuramente della liquirizia.
Nel rinascimento infatti tornò in auge non solo il culto della bellezza, ma anche il mito della donna bionda, come già era stato in epoca greca e nell’Antica Roma. E così le donne iniziarono a schiarirsi i capelli con una mistura di cenere, carbone, calce e radice di liquirizia.
Tra le virtù della liquirizia vi è infatti quella di lenire i rossori cutanei da sole, illuminare l’incarnato e schiarire i capelli: insomma una vera cura prima dell’abbronzatura estiva.
Non vi resta che venire e farvi curare con il nostro gelato in vista dell’estate….