la stube ed i casunziei
Luoghi 1 – Cortina d’Ampezzo, la stube ed i casunziei.

la stube ampezzana
Sono venuto come sempre per le vacanze estive nella conca ampezzana, località del bellunese che si estende tra Fiammes e Borca di Cadore.
La zona ha come punto di riferimento turistico/mondano/culturale la cittadina di Cortina d’Ampezzo, che nei mesi estivi ed invernali da paesotto di montagna si trasforma in una città con afflussi di oltre 50.000 turisti (e relative auto) con i noti problemi di inquinamento atmosferico ed idrico che affliggono la valle in questi periodi.
Se ci si mette d’impegno, lungo Corso Italia – la via centrale pedonale di Cortina dedicata allo struscio – si possono incontrare le persone “che contano”, dallo sport alla politica.
Per chi non ama l’apparenza, la valle mantiene radicate alcune tradizioni secolari – dai costumi d’epoca ad alcuni spettacoli tradizionali che richiamano antichi riti pagani – che offrono numerosi spunti di riflessione e indicazioni per il nostro presente.
La casa ampezzana, ad esempio, mi ha sempre interessato.
A mio parere è bella esteticamente e comunica ad un tempo una sensazione di equilibrio e robustezza.
La sua struttura, comune nella forma a quasi tutto l’Alto Adige, è ricca di significati.
E’ anzitutto segno evidente di quanto fosse importante il momento del pranzo e della condivisione famigliare nel mondo contadino.
La “stube”, il luogo in cui la famiglia si riunisce per mangiare, è infatti la zona più importante dell’abitazione, disposta nella parte centrale. E’ una stanza di solito quadrata, tutta costruita con assi di legno di larice, abete o cirmolo, con al centro la stufa in maiolica, che serve a riscaldare l’ambiente e a cucinare o in alternativa alla stufa, si trova nelle case più antiche il “larin”, (dal latino lares penates, gli dei del focolare domestico), il focolare aperto, dove appeso si trova il paiolo di rame per cucinare la polenta.
A fianco della stube, unica zona riscaldata della casa, (da cui l’assonanza con la parola “stua” , stufa in dialetto veneto) si trova la camera da letto e dietro alle due stanze è posto il “toulà” , il fienile/granaio dove conservare l’erba sfalciata, e più dietro talvolta la stalla per gli animali da cortile.
Grazie alla mostra che si sta svolgendo a Cortina in questi giorni su Gellner, famoso architetto valligiano che ha reinterpretato in chiave moderna tecniche costruttive e materiali costruttivi della casa ampezzana, ho appreso che questa abitazione è un chiaro esempio di casa ecologica.
Ottimizza al massimo il sole invernale, essendo disposta con due fronti al sud, e sfrutta il materiale del luogo, pietra e legno, secondo le funzioni a cui era destinato l’ambiente.
La pietra veniva utilizzata per la casa, perché garantiva maggior isolamento.
La pietra serviva da accumulatore del calore durante il giorno e limitava ad un tempo la dispersione termica e l’utilizzo della legna.
Il legno veniva utilizzato per il fienile, perchè garantiva maggior elasticità e leggerezza strutturale e dunque poteva essere riempito con pesi maggiori e assicurava una buona aerazione, impedendo ad un tempo la fermentazione ed autocombustione del fieno accumulato.
Queste case sono frutto di esperienza centenaria e sarebbe utile confrontarsi su di esse e copiarne alcune soluzioni costruttive.
Quali analogie trovate tra queste case e quelle delle vostre zone di montagna?
Che strategie avevano adottato i contadini della zona per rendere più “efficienti” le loro abitazioni?
Fatemi sapere, sono molto curioso.
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Oggi, alla parola toulà, viene in mente il ristorante più alla moda e più caro di Cortina, che ne porta il nome: tuttavia questo ed altri ristoranti della zona hanno il merito di riproporre ancora dei piatti tradizionali ampezzani.
Il più tipico di questi sono forse i “casunziei”.
Nella versione classica, si tratta di ravioli confezionati con un ripieno di rape rosse e gialle . In primavera si preparano quelli verdi con il ripieno di erbe mangerecce raccolte nella valle. Alcune famiglie, mi racconta la mia vicina, ampezzana doc, bevono ancora l’acqua di cottura detta “petorada” dopo pasto, come digestivo.
Il piatto ha probabilmente origini veneziane, visto che si trova nei registri degli economi bresciani e bergamaschi fino dal ‘700 , territori conquistati precedentemente dalla Serenissima.
In questa valle infatti, operavano commistioni culturali interessanti, non solo culinarie, essendo politicamente importante creare un “cuscinetto” divisorio tra la Repubblica ed il Tirolo austriaco.
Sono recentemente andato a visitare alcune case riccamente ristrutturate di conoscenti a Cortina.
Costoro hanno trasformato la stube in un museo della civiltà contadina, appendendoci antichi falcetti o rastrelli, oppure in una sala espositiva dell’ultimo artista contemporaneo alla moda.
A fianco comunque si trova sempre, seppur ristrutturata, la stalla per i proprietari.